Quando acquistiamo una confezione di caffè al supermercato, ci affidiamo alle informazioni riportate sulla confezione per fare una scelta consapevole. Diverse ricerche di marketing mostrano però che etichette persuasive e claim rassicuranti possono creare aspettative sulla qualità che non coincidono sempre con le caratteristiche reali del prodotto, soprattutto nel settore degli alimenti ad alto contenuto di immagine come il caffè.
Quando “naturale” non significa quello che credi
La dicitura “100% naturale” è ampiamente usata nei prodotti alimentari, incluso il caffè. In Europa non esiste una definizione unica e vincolante del termine “naturale” per l’intero alimento, mentre è normata in modo più preciso la parola “naturale” riferita agli aromi dal Regolamento (CE) n. 1334/2008 sugli aromi. In pratica, un caffè può riportare claim come “naturale” anche se contiene aromi naturali, purché questi derivino da materie prime naturali autorizzate, ma il consumatore tende a interpretare “naturale” come “puro, senza aggiunte”.
Studi sulle percezioni dei consumatori mostrano infatti che il termine “naturale” viene spesso interpretato come sinonimo di prodotto “più sano” o “non trasformato”, anche quando, dal punto di vista normativo, si tratta solo di una caratteristica degli ingredienti e non di assenza totale di additivi o trasformazioni. Gli aromi naturali, pur derivando da fonti vegetali o altre fonti naturali, sono comunque ingredienti aggiunti che modificano il profilo sensoriale del prodotto di base.
La loro presenza deve essere obbligatoriamente indicata nell’elenco ingredienti secondo il Regolamento (UE) n. 1169/2011 sull’informazione alimentare ai consumatori. Nella pratica di scaffale, però, ricerche sul “fronte etichetta” documentano che i claim positivi in grande evidenza attirano l’attenzione più dell’elenco ingredienti, che il consumatore spesso legge solo superficialmente.
L’inganno parziale della dichiarazione “senza additivi”
Il claim “senza additivi” genera nel consumatore l’idea di un prodotto “più puro” o “meno trasformato”. La nozione di “additivo” nel diritto alimentare UE è però molto specifica: gli additivi sono sostanze aggiunte intenzionalmente con una funzione tecnologica come coloranti, emulsionanti o conservanti, definite dal Regolamento (CE) n. 1333/2008. Non rientrano in questa categoria aromi, enzimi alimentari, o certe sostanze usate in fasi di lavorazione che non restano nel prodotto finale oltre livelli tecnicamente inevitabili.
Un caffè può quindi riportare “senza additivi” pur essendo stato sottoposto a processi tecnologici che modificano in modo sostanziale il profilo sensoriale, senza che questo implichi l’uso di additivi in senso legale. I processi di tostatura intensa incidono fortemente sul profilo di aroma e gusto del caffè. Studi di scienza degli alimenti mostrano che una tostatura molto scura aumenta la formazione di composti di Maillard e composti volatili tostati, creando un aroma più uniforme e amaro, mentre riduce l’acidità e attenua molte note aromatiche caratteristiche delle origini fruttate, floreali o speziate.
La letteratura tecnica sul caffè evidenzia che una tostatura molto spinta può coprire difetti dei chicchi verdi e appiattire le differenze tra origini, rendendo il gusto più standardizzato e meno riconoscibile in base alla provenienza. Questo non è di per sé illegale, ma dimostra che un prodotto possa essere “senza additivi” pur risultando molto trasformato sotto il profilo organolettico.
I trattamenti che sfuggono all’etichetta
Prima della tostatura, i chicchi verdi possono essere sottoposti a diversi metodi di lavorazione post-raccolta come lavato, naturale, honey o fermentazioni controllate. Questi processi influenzano in modo significativo il profilo sensoriale del caffè ma non sono classificati come “additivi”, bensì come fasi di lavorazione agricola e industriale. Studi sulla trasformazione del caffè verde mostrano che fermentazioni prolungate o particolari metodi di lavorazione umida possono generare aromi distintivi che cambiano sensibilmente il gusto rispetto al caffè essiccato in modo tradizionale. Queste informazioni non sono sempre riportate in etichetta o sono comunicate solo quando utilizzate come elemento di marketing.
Blend economici presentati come caffè premium
È frequente trovare in etichetta termini come “selezione”, “qualità superiore”, “miscela pregiata”. Attualmente, nella normativa UE e italiana, queste espressioni non sono rigidamente definite per il caffè e rientrano nei cosiddetti voluntary food information: devono rispettare il principio generale di non ingannevolezza previsto dal Regolamento (UE) n. 1169/2011 e dal Codice del Consumo, ma non esiste una soglia oggettiva di qualità a cui debbano corrispondere.
Dal punto di vista merceologico, la pratica di comporre blend miscelando Coffea arabica e Coffea canephora, meglio nota come Robusta, è documentata e molto comune. Il caffè Robusta ha caffeina doppia rispetto all’Arabica e il suo costo sul mercato internazionale è spesso inferiore, perché associato a rese più alte e, in media, a un profilo sensoriale ritenuto meno fine.

Molte miscele mainstream usano alte percentuali di Robusta come base per contenere i costi e conferire maggiore corpo e amarezza. Ricerche sensoriali mostrano che molti consumatori interpretano gusto forte, amaro e corpo elevato come indicatori di “caffè più robusto”, e non sempre li associano a una qualità inferiore, anche quando si tratta di Robusta di fascia bassa.
Le varietà botaniche nascoste in etichetta
La composizione varietale, cioè la percentuale di Arabica e Robusta, è un fattore chiave per la qualità sensoriale e il posizionamento di prezzo del caffè. In base al Regolamento (UE) n. 1169/2011, tuttavia, l’elenco degli ingredienti di un caffè macinato o in chicchi può limitarsi a indicare “caffè” se non sono presenti altri ingredienti, senza obbligo di distinguere tra specie botaniche, a meno che il produttore scelga di comunicare volontariamente l’informazione.
Quando è dichiarata una miscela, la legge non impone che la percentuale delle diverse specie sia riportata, salvo casi particolari in cui un ingrediente è messo in particolare evidenza nel nome o nel claim. Se in evidenza si enfatizza la presenza di Arabica, il produttore è tenuto a indicare la quantità percentuale solo se ciò è necessario a non risultare ingannevole. In assenza di un obbligo specifico, è possibile che la comunicazione metta l’accento sulla presenza di Arabica anche quando questa rappresenta una quota minoritaria del blend.
Come difendersi dalle strategie di marketing
La tutela del consumatore passa innanzitutto da una lettura critica dell’etichetta, supportata da quanto previsto dalla normativa UE su informazione alimentare. L’elenco degli ingredienti è, per legge, la sezione più vincolata e controllata dell’etichetta. Deve indicare la presenza di aromi e elencare eventuali altri ingredienti oltre il caffè. La presenza di aromi segnala che il prodotto non è costituito da solo caffè tostato.
L’assenza di indicazioni sulla specie, quindi se si tratta di Arabica o Robusta, non significa automaticamente bassa qualità, ma è spesso indice di un blend generico orientato al prezzo, mentre i caffè di fascia più alta tendono a dichiarare con maggior precisione composizione e origine. Studi di mercato sul caffè specialty e di qualità superiore mostrano che i prodotti di fascia alta indicano con precisione Paese, e spesso regione o singola piantagione, altitudine, metodo di lavorazione, annata del raccolto.
Indicazioni vaghe come “miscela di caffè selezionati da paesi extra UE” sono tipiche di miscele più standardizzate, in cui l’origine può variare nel tempo in base al costo delle materie prime. Questo non è di per sé scorretto, ma suggerisce che l’obiettivo principale è la standardizzazione e il contenimento del prezzo, più che la tracciabilità fine.
Il rapporto tra prezzo e qualità dichiarata
Il prezzo del caffè è fortemente influenzato dalla specie, dalla qualità del lotto e dal tipo di approvvigionamento. Analisi del mercato del caffè verde indicano che le Arabica di alta qualità vengono scambiate a prezzi significativamente superiori rispetto alle Arabica standard e alle Robusta. Un prodotto venduto a prezzo molto basso difficilmente può essere composto interamente da chicchi premium: per mantenere i margini, è prevedibile l’uso di Robusta o Arabica di fascia standard, anche se il packaging comunica valori elevati.
Gli strumenti normativi a disposizione del consumatore
La legislazione europea in materia di etichettatura alimentare e pratiche commerciali scorrette offre alcuni strumenti di tutela. Il Regolamento (UE) n. 1169/2011 stabilisce che le informazioni sugli alimenti non devono essere fuorvianti, devono essere chiare e facilmente comprensibili, e non devono attribuire agli alimenti effetti o proprietà che non possiedono. La Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, recepita in Italia nel Codice del Consumo, vieta claim ingannevoli sulle caratteristiche principali del prodotto, compresa la natura, composizione e qualità.
Le associazioni di consumatori hanno un ruolo attivo nel segnalare pratiche ritenute scorrette alle autorità competenti. Il consumatore che ritenga di essere stato tratto in inganno da diciture in etichetta può presentare una segnalazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratiche commerciali scorrette o alle autorità sanitarie competenti per questioni di etichettatura alimentare.
La letteratura su comportamento del consumatore conferma che una maggiore alfabetizzazione alimentare ed etichettaria è associata a scelte più consapevoli e meno influenzate dai soli elementi grafici o dai claim generici. Imparare a leggere l’elenco ingredienti e le informazioni obbligatorie, confrontare origine, specie dichiarate e prezzo, diffidare dei claim molto generici non accompagnati da dati concreti è uno strumento efficace per orientarsi tra prodotti di caffè molto diversi, al di là dell’immagine creata dal packaging. Il caffè, prodotto quotidiano per milioni di italiani, merita un’attenzione particolare nella selezione, superando le illusioni create da confezioni accattivanti per arrivare alla sostanza del contenuto.
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